Lidia Armelao del Cnr al Congresso di Chimica: le parole d’ordine sono riciclo e circolarità per un modello alternativo di industria
Dalla ricerca ai processi produttivi dell’industria, passando per ogni singola disciplina scientifica, sostenibilità è diventata una parola chiave. Anche per la chimica, scienza fondamentale in moltissimi settori. Tanto da aver iniziato una nuova fase della propria storia: è la “green chemistry”, la chimica verde. E non a caso questo è stato uno dei temi del XXVIII Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana, organizzato a Milano: tra i tanti ospiti, italiani ed internazionali, Lidia Armelao, direttore del Dipartimento di Scienze Chimiche e Tecnologie dei Materiali del Cnr e protagonista dell’impegno italiano nella chimica verde.
Professoressa Armelao, la chimica sta modificando approcci e processi: che cosa è cambiato?
“Quello che sta cambiando è un’attenzione maggiore alle modalità con cui si fanno sintesi di prodotti e nuovi materiali. Si sta più attenti nell’uso di solventi green, materie prime rinnovabili e non inquinanti e anche nei processi si pone molta attenzione a generare il minor numero possibile di sottoprodotti, a consumare meno acqua ed energia, così da rispettare le risorse e l’ambiente. Vuol dire, essenzialmente, lavorare secondo i principi dell’economia circolare”.
In che modo la “green chemistry” si pone rispetto ad un sistema economico che punta sempre di più alla riduzione di sprechi e alla circolarità?
“Bisogna pensare che i materiali, le molecole e tutto quello che usiamo possa essere riciclato e tornare di nuovo ad essere impiegato, anche per usi diversi: le risorse, sia materiali sia energetiche, non sono infinite e quindi bisogna cercare di ottimizzarle. Inoltre, serve la formazione di nuove professionalità, da cui nasceranno nuovi posti di lavoro. Sostenibilità e circolarità significa progettare, sin dal principio, materiali che possano essere riciclati”.
Quando è iniziato questo approccio alla sostenibilità?
“Nelle università e negli enti di ricerca si lavora sui concetti di chimica sostenibile già da anni, però trasferire questo concetto al mondo produttivo comporta una rivoluzione nelle linee di produzione: è evidente che non è più pensabile continuare a scaricare nell’ambiente le cose che abbiamo finito di impiegare”.
L’inquinamento da microplastiche è uno dei mali da sconfiggere: la chimica può offrire un’alternativa?
“La chimica sta lavorando tantissimo su questo tema, in particolare sulla bonifica da microplastiche si sta cercando una soluzione al danno che è stato fatto. Bisogna capire come rimuovere le microplastiche e quindi purificare le acque e i terreni dove si sono accumulate”.
In che modo?
“Per quanto riguarda le acque, ci sono dei materiali a membrana che possono filtrarle, trattenendo microplastiche e nanoplastiche, queste ultime più piccole e anche più difficili da rimuovere. Poi c’è il tema di come realizzare plastiche biodegradabili o da materie prime di origine naturale, quindi rinnovabili, come la cellulosa. Lo scopo è ottenere dei monomeri e trasformarli in plastiche con caratteristiche meccaniche analoghe a quelle ottenute da fonti fossili. Infine, direi, il riciclo chimico, su cui siamo ancora agli inizi e che l’industria comincia a recepire con un po’ di difficoltà. Si verifica quando una plastica, una bottiglia, per fare un esempio, ha terminato il suo ciclo di vita e la si riutilizza tramite degli enzimi che “smontano” la plastica come dei singoli mattoncini di Lego”.
La chimica sostenibile, tra le varie applicazioni, può essere legata anche alla produzione di energia rinnovabile?
“Sì. La ricerca sta facendo tantissimo, soprattutto nello studio di nuovi materiali che possano permettere di accumulare l’energia e, quindi, sulle batterie o per migliorare l’efficienza delle celle fotovoltaiche. Bisogna lavorare molto sugli ecomateriali, che alla fine del loro ciclo possano essere riciclabili e che durante l’utilizzo permettano di trasformare l’energia e di stoccarla in modo sostenibile. Il tutto senza fare ricorso a materie prime critiche, come le terre rare. E’ fondamentale applicare il più possibile il principio della circolarità, perché lo scarto non deve più essere un problema, ma un’opportunità”.
E nel caso della produzione di cibo?
“Per esempio, arricchire alimenti con sostanze nutraceutiche, che migliorino le qualità nutritive del cibo. Oppure ricorrere a molecole che vengono estratte in modo sostenibile da fonti naturali, come piante e organismi marini, che hanno proprietà di rallentare l’invecchiamento”.
Lei è attiva anche nella formazione legata alle materie Stem, con l’obiettivo di abbattere un pregiudizio, purtroppo ancora diffuso, sulle donne e le materie scientifiche. A che punto siamo?
“Cerchiamo, attraverso la presenza costante nelle scuole, sia primarie che secondarie, di stimolare gli studenti ad essere curiosi, a non ragionare per pregiudizi e a pensare che qualsiasi carriera sia aperta a tutti, che non esistono professioni femminili o professioni maschili, ma con la curiosità e l’interesse si può intraprendere qualsiasi professione. Rispetto al passato ci sono molte ricercatrici in più, anche al Cnr e nelle università, anche se resta difficile raggiungere ruoli apicali. Ma sono fiduciosa nel futuro”.
FONTE: LA STAMPA